Hannah è una ragazza di 17 anni come molte altre, alle prese con una nuova scuola e nuove amicizie. Ma Hannah non ce la fa, e decide di togliersi la vita. Decide però di lasciare un segno: 13 ragioni per cui ha deciso di suicidarsi, dedicate a 13 persone che l’hanno spinta al suo estremo gesto, registrate su 13 lati di 7 audiocassette. Le regole che lascia sono poche: ascolta tutte le cassette in successione, quando avrai terminato tutte le registrazioni passa le cassette a chi veniva dopo di te. Così tutti sapranno tutto quello che è successo, le thirteen reasons why.
Prima di guardarla
La serie tratta argomenti pesanti: il suicidio, il bullismo, la sessualizzazione della donna e la violenza sessuale. Quindi se siete molto sensibili sull’argomento non la guardate, più ci si inoltra verso il finale più le puntate diventano crude e difficili da digerire. Questa recensione conterrà dei piccoli spoiler: niente di eclatante, ma se ci tenete a non rovinarvi nulla non ve la consiglio!
Posso solo immaginare come sia la situazione in questi anni nei licei, perchè ai miei tempi (che frase da vecchia!!!) era diverso. Ma dal poco che sento fra chat di What’s App e gruppi chiusi di Facebook penso che i temi discussi in questa serie siano molto vicino alla situazione reale.
Perchè le cassette?
La serie è realizzata magnificamente, il presente e il passato si accavallano sulla narrazione registrata di Hannah, che guida il protagonista Clay lungo la sua travagliata storia. Anche la colonna sonora, a mio parere eccezionale, con il suo sapore vintage sopratutto relazionata all’età dei protagonisti, aiuta nel raccontare una storia intima e sofferente. Questo fattore è pienamente in sintonia con la trama, proprio il fatto che Hannah decida di registrare su cassette, e non file mp3, è una scelta che rispecchia a pieno la sua decisione di far impegnare i suoi compagni per poter ascoltare la sua voce, gli rende le cose difficili per coinvolgerli emotivamente al massimo.
L’innovazione
Molto si è detto sulla violenza di genere, sull’oggettivazione dell’immagine della donna, sulla violenza a sfondo sessuale. Ed è giusto che se ne parli per carità, ma molto spesso si rischia di finire nel perbenismo, nel cercare di trattare l’argomento con sensibilità. Trovo che raccontare una storia, anche se di fantasia, come questa sia un modo per evitare i perbenismi e di mostrare la reale sofferenza che può portare anche un gioco innocente come la lista dei “best/worst” culi della scuola, come diffondere fotografie private possa portare una persona alla disperazione, come essere semplicemente chiamata “facile” possa rovinare la vita di una persona.
Raccontare le conseguenze, crude e violente, rende questo telefilm innovativo e vero portatore di un messaggio non detto. Non c’è la spettacolarizzazione dell’atto di violenza, quello che spesso viene usato per scioccare il pubblico ma che finisce per essere frainteso e imitato, ma le immagini più crude, le frasi più taglienti, sono quelle della vittima, di Hannah che spiega con chiarezza perché no, quello che viene fatto a lei non è accettabile neanche con tutte le scusanti del caso, anche se può sembrare un gioco fra adolescenti. Alcune persone si sono lamentate dicendo “eh ma capitano tutte a lei”, “un po’ se le cerca”, e “non sono cose abbastanza gravi da portare una persona al suicidio” (giuro, l’ho sentita sul bus pronunciata da una ragazzina che mi sedeva a fianco) e questo secondo me spiega perchè di telefilm come questo abbiamo estremamente bisogno. Certo, non tutte le vittime di bullismo si suicidano – ma è una buona ragione per fare victim blaiming?
È “solo” sessismo?
Una delle cose che ho apprezzato di più è che la serie fa una scelta coraggiosa, cioè concentra i suoi temi narrativi intorno a delle aree ben precise: sessismo, slut shaming, cyberbullismo, bullismo, violenza sessuale, con lo spettro di una depressione tacita che alla fine porta Hannah al suicidio. Ho apprezzato tantissimo questa decisione perchè restringe molto l’elenco dei temi che di solito si buttano nel calderone di chi prova a parlare di adolescenti e suicidio – e di solito lo fa male.
Per esempio, è assente il body shaming: Hannah non viene mai criticata per il suo aspetto fisico (anzi, casomai è venire apprezzata che le crea dei problemi). Netflix avrebbe potuto prendere la scorciatoia facile e buttare qua e là qualche presa in giro a tema grassona/brutta/sfigata/vestita male, eppure non l’ha fatto. È assente anche il razzismo, che come sappiamo è un problema ben presente nei licei americani e non solo. La cricca di amici-aguzzini di Hannah è invece perfettamente cosmopolita: ci sono persone asiatiche, afroamericane, ispaniche, ricche o povere, non importa. Hannah è un bersaglio perchè donna, prima di tutto. La questione di razza e di classe viene spazzata via e la serie lascia un enorme occhio di bue luminoso soltanto sulla questione di genere.
Il problema di Hannah non è essere sfigata, o povera, o antipatica, o disagiata, non è nemmeno un’autolesionista, come l’altra ragazza Skye. Il suo problema è incontrare delle persone orribili che compiono gesti gravissimi senza rendersene conto. Non è possibile parlare di Tredici senza parlare di sessismo, mi dispiace. E mi dispiace che tanti articoli che stanno girando, ora che anche i quotidiani si sono resi conto del fenomeno che è scoppiato intorno a questa serie, riescono a riempire pagine e pagine di parole senza mai nominare il sessismo, lo slut shaming, la violenza sessuale – perchè questi sono i problemi che Tredici direttamente affronta.
L’altro protagonista: Clay
Clay è il ragazzo segretamente innamorato di Hannah ed è attraverso i suoi occhi che vediamo dipanarsi la vicenda, da quando riceve le famose tredici cassette fino all’amaro epilogo. La trovata tra l’altro è geniale: Clay soffre per la morte della ragazza e quindi fa fatica ad ascoltare tutte le cassette di seguito, dando così la scusa per una dilatazione della struttura narrativa che la fa quasi sconfinare nel thriller. Ad un certo punto non sappiamo più di chi fidarci, chi dice la verità e chi mente, non sappiamo chi ha portato Hannah all’estremo gesto (potrebbe essere Clay stesso? o gli altri amici e compagni di scuola? oppure è successo qualcosa che non sappiamo ancora ed è peggio rispetto a tutte le cose precedenti?) e si crea una tensione constante che accompagna lo spettatore fino alla fine. Clay è il nostro doppio: è un bravo ragazzo, è innamorato, ma a volte proprio non capisce. Lo vediamo cadere in preda all’orrore quando scopre tutte le angherie che Hannah ha subito, quando coglie la reale portata di quei gesti. Sì, li aveva visti, magari ci aveva scherzato su, cercando di sollevare l’umore nero dell’amica, ma non li aveva davvero compresi.
All’inizio della serie Clay cade in bici e si fa un taglio sulla fronte che non si rimargina più: è il simbolo della consapevolezza, dell’incrinatura che si è creata nel suo mondo. Ci serve a distinguere il Clay di adesso dal Clay dei numerosi flashback, ma non è solo un espediente: il Clay nuovo è veramente diverso dal Clay vecchio, è ferito, confuso, paranoide, tormentato dai dubbi e dai rimorsi. I suoi genitori iniziano a spaventarsi: magari è vittima anche lui di bullismo? Magari pensa a suicidarsi? Ma la domanda che si pone Clay è molto peggio: sono stato anche io un bullo?
Parola d’ordine: conseguenze
C’è poco da dire, Tredici è una serie che parla di conseguenze. Dei gesti piccoli, di quelli che ti dimentichi, delle scemate, delle cose fatte tanto per ridere. Ma anche le conseguenze di gesti ben più gravi: non riuscire ad impedire una violenza sessuale, causare un incidente stradale in cui un ragazzo perde la vita. I personaggi di Tredici si muovono come elefanti in una cristalleria e non se rendono conto. È il cumulo di piccole e grandi scorrettezze che porta Hannah al suicidio. I genitori sono volutamente tagliati fuori (di nuovo, Netflix ha lavorato per sottrazione in questa serie, ha lasciato solo l’essenziale), una scelta forse paradossale ma con una finalità ben precisa, lasciare tutta l’attenzione sui ragazzi, sul loro microcosmo scolastico che ai genitori è completamente precluso.
Come concludere? Chapeau a Netflix per questa serie toccante e profonda, che molti auspicano sia trasmessa nelle scuole per intavolare un dibattito serio sul bullismo! Intanto, a quanto pare è stata confermata la seconda stagione 🙂
Architetto ed esperta di storia del Westeros.
Ama: i tatuaggi, la musica dei The Cure, giocare il guerriero a D&D e nuotare (male).
Odia: le cose brutte, quando nei film salgono sul letto con le scarpe, i dolci senza il cioccolato e le sopracciglia sottili.