Su Instagram ci avete fatto una domanda super interessante, tanto che abbiamo deciso di rispondere tutte e tre insieme. Cosa ne pensiamo della fast fashion? Prima di tutto, partiamo dalle definizioni: viene chiamata fast fashion la moda “veloce” tipica dei brand low cost, con collezioni che cambiano anche ogni due settimane, contro le 2/4 collezioni all’anno, classiche dell’alta moda (tipicamente, autunno/inverno e primavera/estate). La fast fashion non è solo simbolo di velocità e consumismo: si accompagna a prezzi bassi, materiali spesso scadenti, diritti dei lavoratori in paesi a basso e medio reddito non rispettati e inquinamento ambientale. Giusto per capire di cosa stiamo parlando, vi facciamo notare che nel famoso crollo dell’edificio Rana Plaza, in Bangladesh, che ospitava lavoratori dell’industria tessile, le vittime furono circa un terzo di quelle dell’11 settembre. Stiamo parlando di più di mille persone, ed è soltanto UN incidente all’interno di un problema molto più vasto. Ecco cosa abbiamo da dire.
Link di approfondimento:
The true cost, documentario disponibile su Netflix
Clean Clothes, associazione che si occupa di monitorare lo sfruttamento dei lavoratori dell’industria tessile
Una designer spiega come riconoscere la fast fashion in 4 punti (e come passare ad una moda più sostenibile)
Una piccola guida alle certificazioni esistenti
La sezione green di Asos (green dal punto di vista ambientale, però, non sociale!)
Giulia: qualche suggerimento per cambiare da fast a slow fashion
Difficile affrontare un argomento così complesso in poche righe. Piuttosto che concentrarmi sul distribuire colpe a destra e manca (colpa dei brand, dei consumatori, delle istituzioni dei paesi a basso reddito e così via), mi piacerebbe riflettere sul perchè la fast fashion sia così diffusa e su come cambiare le cose. È innegabile: con stipendi sempre più bassi e disoccupazione alle stelle, i jeans di H&M a 20 euro e le magliette in saldo a 5 euro fanno gola alla maggioranza degli italiani, scatenando una guerra tra poveri tra noi che non arriviamo a fine mese e i lavoratori dei paesi in cui questi capi vengono prodotti costretti a lavorare in condizioni disumane.
Mi sembra stupido, quindi, approcciare il problema dicendo “Basta comprare moda ecosostenibile gne gne!”, quando: i soldi sono pochi, i brand ecosostenibili sono sconosciuti ai più e spesso cari, è difficile anche trovare il capo giusto, bisogna spesso comprare online e così via. Diciamo la verità, comprare ecosostenibile è difficile, in termini di energia, soldi e tempo. Bene, dato questo per appurato, come renderlo più semplice? Prima di tutto, come qualsiasi ecologista insegnerebbe, il primo passo da fare è comprare meno. Dedicarsi ad un sano decluttering, comprare solo cose che ci stanno bene ed indossarle tutte è il primo favore che possiamo fare al pianeta (ma per quello, c’è la nostra guida!). Passare dal fare un giro da Zara per sfizio ogni fine settimana e andarci una volta all’anno solo per necessità è già un bel cambiamento. In secondo luogo, rivalutare l’usato ed imparare a fare due riparazioni di base. I negozi vintage oramai fioccano ovunque, come le app dedicate. Se il vostro armadio ha già una buona base, è più facile concedersi un po’ di shopping vintage per qualche capo più particolare. Stringere dei pantaloni ormai grandi, rifare un orlo sono conoscenze necessarie per sprecare meno, e di conseguenza comprare meno. Rivalutare l’handmade italiano e perchè no anche le sarte. Fare una breve ricerca quando si sta per comprare qualcosa, per capire se quel brand si è impegnato in qualche modo eticamente e ambientalmente. Non fidarsi delle promesse, controllare i fatti. Non farsi abbindolare dalla maglietta in cotone ecobio, quando magari è stata prodotta da una lavoratrice sfruttata. Non vi voglio dire che le alternative ci sono e che è facile fare un altro tipo di scelta. Non è facile. Ma è possibile, e se impegniamo a cambiare anche solo il 20% (ricordate i cambiamenti ecologici semplici di cui ha già parlato anche Sara?) dei nostri comportamenti possiamo avere un effetto sul mondo.
Pamela: la fast fashion non ha contenuti
Ebbene sì, per quanto le aziende di fast fashion si “impegnino” a sponsorizzarsi rispettose di tutte forme del corpo delle donne esiste una triste realtà: gli abiti economici e scadenti donano solo a determinati fisici e per un limitatissimo arco temporale. Questa è una delle motivazioni scatenanti che mi hanno fatto abbandonare determinati brand e ricercare negli abiti la qualità sia del materiale che della fattura. Personalmente ero stufa di comprare t-shirt che si scioglievano e deformavano dopo pochi lavaggi, cotone scadente con il quale sembrava stessi indossando un sacco di patate o che al contrario mi strizzava anche se provavo una large. Mi rendo conto che negli anni, sia per il cambiare del mio fisico sia per una maggiore “maturità” estetica, per me indossare gli abiti di H&M o Stradivarius (per dirne due fra i tanti…) è un suicidio. In questi maxi store pochissimo o quasi niente mi dona, e non per questioni di peso e di forma fisica, ma perchè sono ai miei occhi oggettivamente brutti. Non per essere snob, ma questi brand mancano di contenuti oltre che di qualità dei capi. Per raggiungere e compiacere una così grande fetta di pubblico l’omologazione è una prerogativa, ma non siamo tutte uguali e non tutto sta bene addosso a tutte. Per vendere le grandi marche cavalcano i trend del momento “rivisitandoli” in maniera scadente e adattandoli ad uno standard generale, il che rende i capi assolutamente privi di ogni bellezza e qualità progettuale. Ecco perchè il vestito alla moda dell’anno scorso, quello trendy e un po’ pazzerello che vi piaceva tanto, fra un paio di stagioni verrà abbandonato nel fondo del vostro armadio. La moda è un arte, e senza concetto perde ogni suo valore.
Sara: comprare è come votare
Perchè è così! La realtà triste, è che a definire le cose è il mercato economico. Basta guardare cosa è successo nel mondo cosmetico: dopo circa un decennio di sensibilizzazione, molte aziende hanno capito che nell’ecobio, nel cruelty free ecc, c’era la grana, e lì hanno spostato i loro soldi. È una versione piuttosto triste e cinica, mi rendo conto, ma anche se vi sembra di non poter far nulla, potete immaginarvi come la minuscola rotellina collegata ad un enorme ingranaggio, fatto di altre rotelline come voi (i compratori) e da rotelle enormi (le aziende, le politiche, ecc) Quindi, ogni volta che acquistate il prodotto di una data azienda le state dicendo in pratica “Brava, ti sei meritata i miei soldi”.
Intendiamoci, io sono la prima a non avere un capitale a disposizione (altrimenti i mie maglioni sarebbero di tutti di morbido cachemire e noi non vi avremmo potuto consigliare su come vestirvi bene senza spendere una fortuna) e so quanto sia frustrante la ricerca di un abito che sia prodotto in materiali decenti come cotone, lana, lino… questo sia per la mia pelle, che per il pianeta. Non parliamo della ricerca di abbigliamento etico, che spesso costa una fortuna, non è reperibile comodamente e ha uno stile particolare che può non piacere a tutti. Cosa fare allora?
- Pensate prima di comprare! Quel prodotto vi serve, vi interessa davvero, o è solo uno sfizio? Se è solo per noia o per “avere qualcosa di nuovo”, potete provare nel vintage, organizzare uno swap party con le amiche, farvi prestare un abito da vostra cugina ecc…
- Comprate fast fashion solo se dovete: Volete cambiare look, ma non sapete se quel dato modello vi donerà, o se magari vi sta bene ma voi non vi ci trovate. Ebbene, fate le vostre prove low cost, ma una volta che avrete capito che quel modello fa per voi, anzichè acquistare un esercito di maglioni in 30 sfumature differenti, acquistate una (e una sola!) versione di livello più alto, in materiali dignitosi e possibilmente di un’azienda che non sfrutta altri esseri umani o il pianeta.
- Riflettete molto bene se quel vestito vale i vostri soldi. Per modello, materiale e sì, anche etica.
- Anche se comprate fast fashion, non accontentatevi; anche all’interno del negozio è come essere in piena campagna elettorale: vince chi viene a casa con voi e l’azienda farà i suoi calcoli. Se volete più magliette in cotone vero, comprate solo cotone vero. Se volete più lana, lasciate sullo scaffale i maglioncini di acrilico.
Insomma, se TUTTI, ma davvero tutti ci muoviamo nella direzione di abiti sostenibili, sia nei confronti del pianeta, che di altri esseri umani (che della nostra pelle… Quante magliette avete buttato via perchè dopo due ore puzzavano da morire? Quante volte vi sono venuti sfoghi o irritazioni o delle scarpe o pantaloni vi hanno stinto addosso?) le aziende non potranno ignorarci. Vogliono i nostri soldi (ahimè!) e sanno che dovranno adattarsi per cambiare, se noi cambiamo.
le aziende non potranno ignorarci e sanno che dovranno adattarsi per cambiare, se noi cambiamo.
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