Nella Grande Programmazione del 2023, così come approntata ad inizi gennaio (io vivo in due modalità, organizzazione à la Excel spreadsheet per ogni singola cosa o I Veri Spartani Non Pianificano), l’articolo di aprile avrebbe dovuto essere un felice riepilogo dei miei cinque posti più instagrammabilissimi di Londra, giusto in tempo per la primavera.
Sfortunatamente, l’Omino del Meteo ha stabilito che sette settimane di pioggia erano tutto quel che spettava all’Inghilterra tra marzo e febbraio. Le foto che avrei voluto fare sarebbero state… annacquate.
Di conseguenza, e poiché gennaio e febbraio in particolare si sono rivelati essere un esercizio in pazienza, ho pensato che avrei voluto condividere cinque abitudini che sono tutto quel che certi giorni mi separa dal figurare da protagonista in un articolo di cronaca nera: dramma dell’orrore, emigrata romana abbatte a badilate sconosciuto sull’autobus – non si era spostato abbastanza in fretta quando le porte si sono aperte.
Certe sono abitudini pratiche; certe sono un tentativo di costruirmi nuove strutture mentali.
Funzionano tutte le volte? Ah! Ma manco per niente. Ma mi azzarderei a dire che funzionano più spesso che no.
1. Camminare allunga la vita e rinforza lo spirito. O quantomeno le cosce.
Ho cominciato a spostarmi a piedi più per necessità che per libera scelta: i mezzi pubblici a Londra, specie se paragonati a quelli di Roma, sono tanto efficienti quanto costosi, ed io non ho neanche la patente.
Mentre non so se camminare allunghi effettivamente la vita, farne un’abitudine ha comportato per me una serie di benefici fisici e non. Innanzitutto, i miei polmoncini a prugnetta ringraziano per ogni forma di attività aerobica e semiaerobica che io mi ritrovi a praticare; ed economicamente parlando, stiamo parlando di diverse decine di sterline risparmiate a settimana.
Ma soprattutto, camminare per me significa prestare attenzione a dove sto andando: dover controllare dove metto i piedi, dove girare l’angolo, dove attraversare la strada; guardare i passanti, le vetrine, gli alberi.
Anche quando non posso andare a spasso durante la giornata, perché la vita si mette di mezzo, ho almeno la certezza di quella mezz’ora di strada che mi aspetta all’uscita dall’ufficio: per schiarirmi le idee, e staccare interamente dal lavoro.
2. Abbiamo un solo corpo, e poi dobbiamo tenercelo.
Sarebbe un’ovvietà: ma, onestamente, mentre ne ero certa a livello intellettuale, non lo ero a livello viscerale fino a che non ho cominciato a realizzare di stare approcciando il momento in cui avrei potuto dire di avere un’età.
Tutti quei dolorini, doloretti, doloracci che si accumulano perché non prestiamo attenzione alla nostra postura; perché passiamo troppo tempo davanti ad uno schermo senza fare un po’ di movimento e guardare fuori da una finestra per cinque minuti; perché non facciamo due passi a piedi al mattino invece di prendere la macchina.
Ma anche: la pelle che a trentacinque anni non è quella che era a venticinque, o diciotto; e non si tratta neanche (solo) di una questione estetica, ma del mero fatto che una pelle disidratata è più sensibile a freddo, caldo, screpolature, arrossamenti. I capelli sono un dramma tutti le mattine, se non sacrifico loro una capra grassa un’ora del mio tempo due volte alla settimana. Niente crema per i piedi tutti i giorni significa talloni spaccati in estate, quando comincio a portare sandali e infradito invece che scarpe e stivali, ed una discreta dose di dolore e fastidio.
Non programmare pasti – batch cooking, meno male che ci sei tu – significa pesarmi con quindici chili di troppo, non i cinque che mi sarei aspettata: il genere di sovrappeso che comincia ad evere effetto sulle ginocchia.
Dedicare del tempo a prendermi cura di me stessa richiede attenzione e costanza; non mi viene naturale. Tuttavia, i benefici si sentono – e ancora più importante, se ne sente l’assenza quando l’attenzione in questione non la dedico.
3. Un’ora di quiete al giorno leva il medico di torno.
O, quantomeno per me, il desiderio di ficcare la testa di qualcuno nel lavandino della cucina.
Non sono una persona particolarmente sociale; le attività comunitarie – specialmente le attività comunitarie che non coinvolgano esclusivamente una cerchia ristrettissima di amici e famigliari – mi lasciano con la sensazione di essere stata drenata di ogni voglia di vivere.
Anche quando si parla di amici stretti, so di non essere sempre in grado di gestire le ore trascorse in compagnia: dove ci si aspetta che io interagisca, partecipi, e possibilmente esca dalla mia comfort zone.
Difendo perciò strenuamente il diritto a prendermi un’ora alla fine della giornata nella quale non parlare con nessuno. Non rispondo al telefono; non leggo messaggi; resto sveglia, a prescindere dall’ora, e mi ritaglio un’ora di silenzio per me stessa.
Si tratta, temo, di un’abitudine piuttosto privilegiata.
Il tempo è un lusso – specialmente per chi ha una famiglia della quale prendersi cura; bambini piccoli, o una persona che richieda – per questioni di età, di salute od altro – attenzione costante, ventiquattr’ore al giorno, senza eccezioni. Anche per chi non ha queste limitazioni, riservare del tempo “vuoto” a chiusura di giornata può non essere così semplice.
Tuttavia, quando l’alternativa è il summenzionato articolo di cronaca nera…
4. In fondo siamo animali creativi.
Penso che questo possa essere qualcosa che toccherà più da vicino chi come me svolge attività di ufficio.
Il mio lavoro mi piace: è interessante, e raramente noioso, ed ha i suoi lati divertenti. Mi manca tuttavia, disperatamente, la sensazione di rimanere a fine giornata con qualcosa tra le mani che sia un prodotto fisico e finito: qualcosa che resti, che io possa tenere, guardare migliorare.
Il prodotto di un’attività creativa.
creativo
[cre-a-ti-vo]
aggettivo
“[…] Si definisce creativo ciò che sia atto a creare; che abbia la capacità di creare.”
Nei limiti di questa definizione, considero creative attività come disegnare, dipingere, cucire, ricamare, tessere, fare l’uncinetto, dedicarsi al bricolage, lo scrapbooking, il miniaturismo… Leggere non conta: non è previsto un prodotto finale o, se ce n’è uno, non è del tipo che rimane nelle mani.
Il mio umore migliora distintamente se dedico una certa fetta del mio tempo a qualcosa di questo tipo; se non tutti i giorni, almeno tutte le settimane, e con una certa costanza. Mi guarirà da tutti i miei malanni? Improbabile! Ma qui prendiamo le nostre vittorie come e quando vengono!
E questa considerazione ci porta molto simpaticamente alla quinta e ultima cosa che sto facendo uno sforzo per imparare, ossia…
5. La prima persona con la quale dobbiamo essere gentili abita nella nostra testa.
… questo.
Mentre cerchiamo – cerchiamo! – di essere il più generosi che sia possibile con la nostra tolleranza, e di distribuirne in giro a mani piene quando abbiamo a che fare con gli errori degli altri, raramente offriamo la medesima cortesia a noi stessi: i nostri, di errori, sono assolutamente imperdonabili.
Ci rimuginiamo sopra. L’inciampo del mattino sta ancora venendo rimasticato a notte fonda, mentre cerchiamo di dormire; e non importa che siamo gli unici ad averlo notato!
Ho realizzato che non sono solo io: sembra essere un dolore comune.
Siamo le nostre prime e migliori vittime – quando dovremmo invece essere capeggiare la nostra tifoseria tutto il tempo, ed essere comprensivi e indulgenti e pazienti verso noi stessi.
Questa è in tutta onestà un’abitudine sulla quale sto ancora lavorando: l’uso a castigarmi per ogni scemenza non se ne va via facilmente. Ma ogni volta che ripenso a qualcosa che ho fatto e mi sento sprofondare per l’imbarazzo, mi sforzo di ricordarmi che non sarei mai altrettanto severa nel giudicare qualcun altro.
In un certo senso, è come se stessi cercando di pensare a me stessa in terza persona: a qualcuno che non sono io, ed è una creaturina sensibile, e non si merita tutta questa cattiveria.
Sto ancora lavorando su certe altre abitudini che penso mi farebbero sentire infinitamente meglio: ad esempio, cercare di dormire otto ore per notte (penso farebbe magie per i miei livelli di stress); o anche, tagliare un poco di rami secchi, più o meno metaforici, dalla mia vita.
E voi? Su quali abitudini vi state concentrando – e cosa potreste consigliarmi di provare? Qui c’è un cantiere in corso, bello aperto, pronto ad accettare raccomandazioni!
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Dodo migrante londinese. Qui non si vola, al massimo si plana con cautela.
Ama: tirare a indovinare i colpi di scena in una trama, le tisane alle mandorle e le lucine dell’albero di Natale.
Odia: gli Ascoltatori di Smartphone Molesti; perdere le tazze di tè e ritrovarle fredde; chi non paga gli sceneggiatori (argh).